C’è tanto da dire su come il giornalismo tratta i corpi delle donne. In questo contesto, la recente sentenza della Corte Suprema britannica sulle donne transgender ha scatenato indignazione, proteste e anche esultazioni di giubilo. Il modo in cui questa storia è stata raccontata, però, è reso spesso polarizzante e sensazionalistico dai media di tutto il mondo. Ciò che emerge è un triste panorama: essere donne, sia cis sia trans, continua a essere un problema, un campo di battaglia di lotte politiche e culturali. Questa sentenza è stata strumentalizzata da chi cerca visibilità e consenso, spesso a scapito delle donne stesse.
La sentenza “anti-trans” della Corte Suprema britannica
La Corte Suprema si è pronunciata sulla definizione di “donna” all’interno di un contesto legislativo specifico, senza negare l’esistenza delle donne trans. Nella sua decisione, la Corte ha ribadito che il termine “donna”, nei riferimenti legali alla parità di genere nei board pubblici, deve essere inteso nel senso di sesso biologico. La documentazione ufficiale della sentenza è consultabile sul sito della Corte, e sarebbe utile per i commentatori informarsi accuratamente prima di esprimere giudizi. La sentenza stabilisce che, nell’ambito dell’Equality Act 2010, il sesso deve essere interpretato come “sesso biologico”, escludendo quindi le donne transgender dalla definizione legale di “donna” per le sole considerazioni di parità di genere.
Questa pronuncia è frutto di un ricorso presentato da un’associazione femminista trans-escludente contro il Gender Representation on Public Boards Act 2018 della Scozia. Questa legge mirava a garantire una maggiore rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione degli enti pubblici, includendo le donne transgender nella definizione giuridica di “donna”. Con la sentenza, la Corte ha affermato che i termini man, woman e sex debbano essere interpretati in relazione al sesso biologico all’interno del contesto dell’Equality Act 2010.
Il caso mediatico creato a tavolino
Come osserva Roberta Parigiani, avvocata del Mit – Movimento italiano transgender, la sentenza è senza dubbio discutibile, ma non dice ciò che alcune parti politiche vorrebbero. In un contesto politico in cui le destre italiane cavalcano la decisione come vittoria ideologica, è cruciale chiarire non solo cosa la Corte ha detto, ma anche cosa non ha affermato. Non si è negata l’esistenza delle donne trans, non si è stabilito che la loro presenza debba essere esclusa dagli spazi sicuri. La sentenza non crea divieti generali per l’accesso delle donne trans agli spazi femminili.
Questo porta a una riflessione più profonda: la sentenza, pur creando una distinzione tra donne cis e donne trans, non deve essere utilizzata per alimentare una retorica anti-trans. Così facendo, i diritti delle donne, in generale, sono messi in pericolo. La stampa, a questo riguardo, gioca un ruolo fondamentale nel plasmare l’opinione pubblica. Spesso racconta la storia in modo tale da enfatizzare le divisioni anziché cercare un terreno comune di comprensione.
Essere donna è sempre, ancora, troppo difficile
Essere donna, sia cis che trans, rappresenta una sfida culturale e sociale significativa. È necessario un coraggio straordinario per costruire la propria identità in una società dove i corpi femminili sono costantemente soggetti a giudizio, restrizioni, e violenza. La vulnerabilità che accompagna l’essere donna non dovrebbe essere una realtà, ma purtroppo lo è. La marginalizzazione delle donne, sia cis che trans, amplifica le ingiustizie: le donne trans, in particolare, affrontano rischi e discriminazioni aggiuntive, dai soprusi nei luoghi di lavoro ai crescenti tassi di violenza.
Il nemico non è rappresentato dalle donne trans, ma da una cultura misera che ci divide. Quando i diritti vengono percepiti come beni rari da spartire, scattano le cosiddette “lotte tra poveri”. In un contesto simile, è importante comprendere il legame tra le battaglie per i diritti delle donne cis e trans. Solo unendo le forze possiamo sperare di trasformare l’orrore dell’essere donna in uno strumento di resistenza collettiva.
In conclusione, l’Equality Act 2010 protegge le donne trans
L’Equality Act 2010 offre tutele contro le discriminazioni basate su nove caratteristiche protette, inclusi sesso e transizione di genere. Le donne transgender sono protette dalla legge, indipendentemente dal fatto che abbiano completato un percorso di transizione o meno. La sentenza della Corte Suprema del 2025, pur limitando l’accesso alla quota di genere nei board pubblici, conferma che le donne trans devono essere protette dalle discriminazioni. In caso di licenziamento o molestia, le leggi di protezione rimangono in vigore. Tuttavia, la questione di fondo è che troppe persone ignorano queste protezioni, esponendo le donne trans a sfide quotidiane.